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da sud a sud

aprile 2017

 

L’eterno presente

Alla fotografia va riconosciuto il merito di saper inventare luoghi, momenti, vicende che non hanno riferimento alla nostra vita e ai nostri sentimenti, immagini che non evocano né simulano ma creano un mondo nel quale possiamo riconoscerci anche senza che esso ci appartenga, senza si sappia nulla di noi, esseri singolari e limitati, e che amplifica a dismisura la nostra capacità di guardare oltre e attraverso la realtà visibile.

Vi appartengono, ad esempio, tutte le immagini che non pretendono di rappresentare oggettivamente una qualche verità fenomenica, ma lasciano lo spazio alla ragione indagatrice, alla diffidenza emotiva che ne spegne la carica “informativa” per metterne invece in primo piano l’aspetto interrogativo, parziale, simulatore. Penso alle tante fotografie da cui veniamo sommersi quotidianamente e che vorrebbero descrivere “meglio di tante parole” un momento di gioia, un incontro inatteso, un paesaggio incantato, parole invece che sole ci fanno prendere consapevolezza della nostra motivazione, cioè di ciò che ci muove quando scattiamo, scegliamo, mostriamo un’immagine, dietro la quale non c’è nessuna oggettività ma ci siamo sempre e soltanto noi.

C’è però un territorio percorso da innumerevoli sentieri diretti verso un luogo che non è tale, un tempo che non esiste, dentro il quale la conoscenza non si dà per gradi progressivi ma ci appare tutt’a un tratto nella sua flagrante, eppure sottostimata, atemporale bellezza. Qualcuno, come Codispoti, sceglie uno di questi sentieri per parlare di sé: ci dice cosa vuole fare e perché, cerca di spiegare il senso del suo “fermarsi” a scattare (e che la fotografia necessiti dell’immobilità non è una cosa cui si pensa e ci si dimentica facilmente di quel che implica questa fulminea sospensione della nostra esistenza che si annulla nel potere dello sguardo). Da questo orizzonte di aspettative sollecitate in noi dall’autore quel che scaturisce non è un album di belle immagini ma qualcosa di diverso e di più profondo, qualcosa legato alla incessante rincorsa alla comprensione di quel che si è. C’è sempre un Sud più a sud, si sa, ma c’è anche – e dal lavoro di Codispoti emerge esplicitamente – anche un Sud più a nord, che è diverso dal primo ma è ugualmente al sud di tutto il resto, o che perlomeno tale resta alla coscienza dell’autore, il quale ci racconta che ha voluto risalire (le immagini sulla china della biografia) lungo il corso degli anni che lo hanno portato dalla Calabria alla Campania, anzi, a Napoli.

Una storia narrata rinunciando proprio alla Storia, attraverso immagini che non ci dicono nulla del corpo, delle stagioni, delle vicende personali ma mostrano sempre con inquadrature diverse il mare: una foce, una spiaggia arida lasciata alle pecore, l’innalzarsi delle onde che urtano contro le scogliere sono gli scarni elementi che connotano questi luoghi. Essi testimoniano la necessità per l’autore di spiegarci/spiegarsi cosa si porta ancora dentro della sua terra e in che modo si è riconosciuto nella nuova, alla luce di una “verità” che non è tale erga omnes ma non per questo conta di meno per lui stesso, che l’ha trovata nella rassicurante eternità del vento che piega gli steli o nella solitudine di un binario. Lo stesso numero delle immagini, dodici, numero siderale per eccellenza, iscrive la ricerca fotografica di Codispoti all’interno di un universo nel quale il tempo non conta, si fa da parte per lasciare che il suo sguardo catturi dei momenti che possono appartenere ad epoche diverse, lontanissime tra di loro. Mi pare che questa sia la cifra dell’autore: creare un mondo dove terra e mare siano i soli protagonisti, che si abbracciano, si insinuano uno nell’altra, si scontrano e configgono senza sosta, indifferenti alle vite che vivono sul quel limite costantemente messo in forse che è la linea incerta e conflittuale che li unisce e li separa. Un limite che, per rimanere tale, deve rendere evanescente la città saldamente affacciata sul mare, respingere le luci costiere in un mondo di fata morgana, dissolvere la cortina di edifici dietro il velo di un’onda polverizzata dalla violenza dei flutti. Eccolo, allora, il “presente” fotografico di Codispoti, che nell’inarcarsi delle stagioni, nell’incresparsi delle onde, nel rapido volo dei gabbiani prolunga la propria esistenza oltre la cronaca per trasformarsi nella muta testimonianza di un’eternità rude e austera.

Angela Tecce

 

 

Ciò che la fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più ripetersi esistenzialmente.

Roland Barthes

Fotografare un luogo può avere molteplici significati, lo si  può fare per cristallizzare la bellezza di un momento che ci ha fatto stare bene; il solo guardare quella foto ci catapulta immediatamente  in una realtà spesso presente solo nel nostro animo. E’ possibile ritrovare un simile sentimento osservando le prime foto di questo lavoro, Da Sud a Sud, che ci invitano  a intraprendere un percorso intimo e privato, iniziando  dal più tipico e calmo dei paesaggi rurali raffigurante un gregge di pecore, passando per la più variegata descrizione del mare calabrese, per giungere,

infine, al vigoroso e a tratti violento mare partenopeo.

Mare, Mare e Mare, tante emozioni e significati all’interno di una sola immagine, ma, soprattutto, diversi stati d'animo.

Solo la parola suggerisce un ventaglio di emozioni come quelle che scaturiscono in ognuno al solo intraprendere questo viaggio fotografico attraverso cui mio padre tenta, con passione, di trasmettere il suo messaggio di amore  per la sua terra natia e per il fascino del mare di Napoli.

Sembra netta la differenza tra le due parti di questo itinerario visivo in cui possiamo notare una descrizione molto più intima e personale del mar Ionio, che va a ricercare i luoghi più deserti e nascosti di una Calabria ipnotica, e, nella seconda parte, un racconto più sfavillante di un mare rabbioso mosso da incontenibile energia e vitalità, caratteristiche tipiche  del popolo napoletano e di una terra di cui mio padre ha voluto lasciare traccia attraverso la sua fotografia.

Mario Codispoti

 

Una sequenza di scatti che si trasformano in un racconto, il racconto di un viaggio verso quei luoghi che appartengono all'animo di chi coglie e blocca nella mente prima e su carta dopo immagini di vita.

All'inizio del viaggio l'obiettivo  si ferma in modo quasi forzato e indipendente dalla volontà di chi scatta e trattiene l'immagine di un gregge di pecore su una spiaggia, in un momento di piena e calma quotidianità.

Una scena che restituisce tutto il lento movimento della natura, colta in un attimo di indisturbato equilibrio tra paesaggio e animali che lo vivono.

Un equilibro che ritorna anche nei paesaggi marini degli scatti successivi. Uno scenario in cui ogni elemento si trova al proprio posto, sia nei luoghi che nell'anima.

Pian piano lo stile del racconto diventa incalzante. La sequenza di immagini sembra assumere un ritmo più veloce.

Il paesaggio quasi immobile degli scatti iniziali lascia il posto a scenari in continuo movimento.

Il mare calmo comincia ad agitarsi e le onde si infrangono una dopo l’altra sugli scogli. Anche ora l'obiettivo non può fare a meno di cogliere questo moto della natura che invade l’anima. Qualcosa è cambiato. Non siamo più in quei luoghi cari dell'infanzia. Il luogo sembra essere sconosciuto a chi lo sta osservando. L'equilibrio e il senso di appartenenza cedono il posto ad un crescente senso di disorientamento. Il tratto lineare e i colori tenui della natura si trasformano in curve vibranti dai toni e dalle sfumature accese.

Il passo lento delle pecore si dissolve nel volo deciso di un gabbiano.

Tutto muta. Un momento di smarrimento.

L'obiettivo insiste sul gabbiano che sorvola un mare agitato. Il gabbiano ora domina l'onda e restituisce equilibrio all'immagine e anche all'anima di chi scatta. Tutto si ricompone.

Colui che fotografa ripercorre ciclicamente le tappe del suo viaggio in un'andata e ritorno ricorrente, cogliendo con l'obiettivo le diverse percezioni che i due luoghi gli restituiscono e trattenendo le stesse in un ritrovato equilibrio che si nutre ogni giorno di questa pura energia.

Laura Aversa

 

Ci sono fatti, pezzi di storia, che esistono solo perché c’è una fotografia che li racconta.

Mario Calabresi

 

Da Sud a Sud è un racconto, una narrazione fotografica  di un viaggio fisico e metafisico al tempo stesso, in cui la dimensione intima e privata dell’autore si unisce alla suggestione della natura.  In dodici scatti si configura e prende corpo un itinerario privato, la storia di chi lascia la terra d’origine; dall’Italia del profondo sud si scatena  un’instancabile ricerca della magia e del fascino dei paesaggi meridionali – ora silenti e primitivi ora minacciosi e conturbanti - che incantano e confondono. La dimensione estetica si congiunge alla dimensione esistenziale articolandosi in una serie di scatti strettamente connessi  gli uni agli altri, una costruzione poetica di luoghi che sono frammenti di memoria. Nostalgia e inquietudine percorrono la galleria di immagini e lo sguardo fotografico insiste sull’ambiente circostante per catturarne l’essenza e plasmare un immaginario di spiagge deserte, di cieli mutevoli e mari in tempesta, registrando emozioni e stati d’animo contrastanti. L’elemento umano è quasi del tutto assente, un silenzioso gregge di pecore si staglia in una natura bella e rude, un gabbiano solitario plana sui flutti imbizzarriti di un cupo mare mentre il Vesuvio, maestoso, osserva.

Lo sguardo accarezza tracce di un qualcosa di passato che è lì, immobile, a rivelare quella che sembra essere, ormai, una realtà fantasmatica.  Immagini che enunciano una natura placida ma anche vibrante come lo scroscio delle onde del mare che, impetuose, si infrangono contro gli scogli.

Un omaggio appassionato alla terra di appartenenza, la Calabria, ed al luogo di approdo, la Campania,  che si traduce in una palpitante sequenza di scenari che toccano le più profonde corde dell’anima.

Marina Vinto

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